Affermando il principio dell’eterno fluire e l’origine pratica di ogni sistema concettuale, anche le verità supreme (!) correvano rischio di dissolversi; e qui, in questa fatale tendenza è il limite (!) del bergsonismo. (Estratti da un articolo di Balbino Giuliano riassunto dalla «Fiera Letteraria» del 25 novembre 1928).
Le innovazioni nel diritto processuale e la filosofia della prassi. L’espressione contenuta nella prefazione alla Critica dell’economia politica (1859): «cosí come non si giudica ciò che un individuo è da ciò che egli sembra a se stesso», può essere riallacciata al rivolgimento avvenuto nel diritto processuale e alle discussioni teoriche in proposito, e che nel 1859 erano relativamente recenti. La vecchia procedura infatti esigeva la confessione dell’imputato (specialmente per i delitti capitali) per emettere la sentenza di condanna: l’habemus confitentem reum pareva il fastigio di ogni procedimento giudiziario, donde le sollecitazioni, le pressioni morali e i vari gradi di tortura (non come pena, ma come mezzo istruttorio). Nella procedura rinnovata, l’interrogatorio dell’imputato diventa solo un elemento talvolta trascurabile, in ogni caso utile solo per dirigere le ulteriori indagini dell’istruttoria e del processo, tanto che l’imputato non giura e gli viene riconosciuto il diritto di non rispondere, di essere reticente e anche di mentire, mentre il peso massimo è dato alle prove materiali oggettive e alle testimonianze disinteressate (tanto che i funzionari dello Stato non dovrebbero essere considerati testimoni ma solo referendari del pubblico ministero).
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