È certo che nella storia romana la figura di Cesare non è caratterizzata solo o principalmente dal «cesarismo» in questo senso stretto. Lo sviluppo storico di cui Cesare fu l’espressione assume nella «penisola italica», ossia a Roma, la forma del «cesarismo» ma ha come quadro l’intero territorio imperiale e in realtà consiste nella «snazionalizzazione» dell’Italia e nella sua subordinazione agli interessi dell’impero. Né, come dice il Bodrero, Cesare trasformò Roma da stato-città in capitale dell’impero, tesi assurda e antistorica: la capitale nell’impero era dove risiedeva l’imperatore, un punto mobile; la cristallizzazione di una capitale portò alla scissione, all’emergere di Costantinopoli, di Milano, ecc. Roma divenne una città cosmopolita, e l’Italia intera divenne centro di una cosmopoli. È da fare un paragone tra Catilina e Cesare: Catilina era piú «italiano» di Cesare e la sua rivoluzione forse avrebbe, con un’altra classe al potere, conservato all’Italia la funzione egemonica del periodo repubblicano. Con Cesare la rivoluzione non è piú soluzione di una lotta tra classi italiche, ma di tutto l’impero, o almeno di classi con funzioni principalmente imperiali (militari, burocrati, banchieri, appaltatori ecc.). Inoltre Cesare, con la conquista della Gallia aveva squilibrato il quadro dell’impero: l’Occidente cominciò con Cesare a lottare con l’Oriente. Ciò si vede nelle lotte tra Antonio e Ottaviano e continuerà fino alla scissione della Chiesa, su cui ebbe influenza il tentativo di Carlo Magno di restaurare l’impero, cosí come la fondazione del potere temporale del papato romano.
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