La formula kantiana, analizzata realisticamente, non supera qualsiasi ambiente dato, con tutte le sue superstizioni morali e i suoi costumi barbarici; è statica, è una vuota forma che può essere riempita da qualsiasi contenuto storico attuale e anacronistico (con le sue contraddizioni, naturalmente, per cui ciò che è verità di là dai Pirenei, è bugia di qua dai Pirenei). La formula kantiana sembra superiore perché gli intellettuali la riempiono del loro particolare modo di vivere e di operare e si può ammettere che talvolta certi gruppi di intellettuali siano piú progrediti e civili del loro ambiente.
L’argomento del pericolo di relativismo e scetticismo non è dunque valido. Il problema da porre è un altro: questa data concezione morale ha in sé i caratteri di una certa durata? oppure è mutevole ogni giorno o dà luogo, nello stesso gruppo, alla formulazione della teoria della doppia verità? Inoltre: sulla sua base può costituirsi una élite che guidi le moltitudini, le educhi e sia capace di essere «esemplare»? Risolti questi punti affermativamente, la concezione è giustificata e valida.
Ma ci sarà un periodo di rilassatezza, anzi di libertinaggio e di dissolvimento morale. Ciò è tutt’altro che escluso, ma non è neppure esso argomento valido. Periodi di dissoluzione morale si sono spesso verificati nella storia, pur mantenendo il suo predominio la stessa concezione morale generale, e hanno avuto origine da cause reali e concrete, e non dalle concezioni morali: essi molto spesso indicano che una concezione è invecchiata, si è disgregata, è diventata pura ipocrisia formalistica, ma tenta di mantenersi in auge coercitivamente, costringendo la società a una vita doppia; all’ipocrisia e alla doppiezza appunto reagiscono in forme esagerate i periodi di libertinaggio e di dissolvimento che annunziano quasi sempre che una nuova concezione si va formando.
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