Da una inchiesta fatta dal Ministero del Commercio risulta che nel 1928 questo contributo fu di 65 milioni di sterline, nel ’27 di 63 milioni, nel ’26 di 60 milioni; questa attività deve considerarsi perciò come una fra le maggiori industrie «esportatrici» inglesi. Va tenuto conto della parte importante che spetta a Londra nell’esportazione di capitali, che frutta un reddito annuo di 285 milioni di sterline e che facilita l’esportazione di merci inglesi perché gli investimenti aumentano la capacità d’acquisto dei mercati esteri. L’esportatore inglese trova poi nel meccanismo che la finanza internazionale s’è creata a Londra, facilitazioni bancarie, cambiali, ecc. superiori a quelle esistenti in qualsiasi altro paese. È evidente, dunque, che i sacrifizi fatti per conservare a Londra la sua supremazia nel campo della finanza internazionale sono ampiamente giustificati dai vantaggi che ne derivano, ma per conservare questa supremazia si credeva essenziale che il sistema monetario inglese avesse per base il libero movimento dell’oro; si credeva che ogni misura che intralciasse questa libertà andrebbe a danno di Londra come centro internazionale per il denaro a vista. I depositi esteri fatti a Londra a questo titolo rappresentavano somme notevolissime messe a disposizione di quella piazza. Si pensava che se questi fondi avessero cessato di affluire, il tasso del denaro sarebbe forse piú stabile ma sarebbe indubbiamente piú alto.
Cosa è avvenuto dopo il crollo della sterlina di tutti questi punti di vista?
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