Se lo scetticismo e il paganesimo degli intellettuali sono in gran parte mere apparenze superficiali e possono allearsi a un certo spirito religioso, anche nel popolo (cfr. il libro di Domenico Guerri sulle correnti popolari nel Rinascimento) le manifestazioni licenziose (carri e canti carnascialeschi) che al Walser sembrano piú gravi, possono spiegarsi allo stesso modo.
Come gli italiani di oggi quelli del Rinascimento, dice il Walser, sapevano «sviluppare separatamente e contemporaneamente i due fattori dell’umana capacità di comprensione, il razionale e il mistico, e in modo che il razionalismo condotto fino all’assoluto scetticismo, per un invisibile legame, inconcepibile all’uomo nordico, si riallaccia in modo saldo al piú primitivo misticismo, al piú cieco fatalismo, al feticismo e alla crassa superstizione». Queste sarebbero le piú importanti correzioni che il Walser porta alla concezione del Rinascimento, propria del Burckhardt e del De Sanctis. Scrive lo Janner, che il Walser non riesce a distinguere l’Umanesimo dal Rinascimento, e che se forse senza l’Umanesimo non ci sarebbe stato il Rinascimento, questo però supera per importanza e per le conseguenze l’Umanesimo.
Anche questa distinzione deve essere piú sottile e profonda: pare piú giusta l’opinione che il Rinascimento è un movimento di grande portata, che si inizia dopo il Mille, di cui l’Umanesimo e il Rinascimento (in senso stretto) sono due momenti conclusivi, che hanno avuto in Italia la sede principale, mentre il processo storico piú generale è europeo e non solo italiano.
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