Secondo il Rossi «la coscienza della separazione ideale prodottasi nei secoli fra l’antichità e l’epoca nuova» è già virtualmente nello spirito di Dante, ma appare attuale e s’impersona, nell’ordine politico, in Cola di Rienzo, che «erede del pensiero di Dante, vuole rivendicare la romanità e quindi l’italianità (perché “quindi”?, Cola di Rienzo pensava proprio solo al popolo di Roma, materialmente inteso) dell’Impero e col vincolo sacro della romanità stringere in unità di nazione tutte le genti italiane; quanto alla cultura popolare, nel Petrarca, che saluta Cola “nostro Camillo, nostro Bruto, nostro Romolo” e con istudio paziente rievoca l’antico, mentre con anima di poeta lo risente e rivive». (Continua il romanzo storico: quale fu il risultato degli sforzi di Cola di Rienzo? nulla assoluto; e come si può far la storia con le velleità sterili e i pii desideri? E i Camilli, i Bruti, i Romoli messi insieme dal Petrarca non sentono la pura retorica?)
Il Rossi non riesce a porre il distacco tra Medio latino e latino umanistico o filologico come egli lo chiama; non vuol capire che si tratta in realtà di due lingue, perché esprimono due concezioni del mondo, in certo senso antitetiche, sia pure limitate alla categoria degli intellettuali e ancora non vuol capire che il preumanesimo (Petrarca) è ancora diverso dall’umanesimo, perché la «quantità è diventata qualità». Il Petrarca, si può dire, è tipico di questo passaggio: egli è un poeta della borghesia come scrittore in volgare, ma è già un intellettuale della reazione antiborghese (signorie, papato) come scrittore in latino, come «oratore», come personaggio politico.
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