Giustissimo: questo è l’aspetto piú interessante dell’Umanesimo. Ma è esso in contraddizione con ciò che ho detto prima sullo spirito anazionale e quindi regressivo - per l’Italia - dell’Umanesimo stesso? Non mi pare. L’Umanesimo infatti non sviluppò in Italia questo suo contenuto piú originale e pieno d’avvenire. Esso ebbe il carattere di una restaurazione, ma, come ogni restaurazione, assimilò e svolse, meglio della classe rivoluzionaria che aveva soffocato politicamente, i principî ideologici della classe vinta che non aveva saputo uscire dai limiti corporativi e crearsi tutte le superstrutture di una società integrale. Solo che questa elaborazione fu «campata in aria», rimase patrimonio di una casta intellettuale, non ebbe contatti col popolo-nazione. E, quando in Italia il movimento reazionario, di cui l’Umanesimo era stato una premessa necessaria, si sviluppò nella Controriforma, la nuova ideologia fu soffocata anch’essa e gli umanisti (salvo poche eccezioni) dinanzi ai roghi abiurarono (cfr. il capitolo su «Erasmo» pubblicato dalla «Nuova Italia» dal libro del De Ruggiero, Rinascimento, riforma e controriforma).
Il contenuto ideologico del Rinascimento si svolse fuori d’Italia, in Germania e in Francia, in forme politiche e filosofiche: ma lo Stato moderno e la filosofia moderna furono in Italia importati perché i nostri intellettuali erano anazionali e cosmopoliti come nel Medio Evo, in forme diverse, ma negli stessi rapporti generali. Nell’articolo del Rossi vi sono altri elementi, interessanti, ma essi sono di carattere particolare.
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