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      ». Il bello è che fa il raffronto tra SantIgnazio e Filippo cosí: «L’uno pensava alla conquista cristiana del mondo intero, l’altro non mirava piú lontano del cerchio dove poteva stendersi l’azione sua personale, e a malincuore permise il sorgere di una filiale a Napoli». E ancora: «L’opera dei Gesuiti ebbe effetti piú vasti e piú duraturi: quella di Filippo, affidata alle ispirazioni del cuore, dipendeva troppo dalla sua persona: ciò che l’ispirazione fa non può essere né continuato né ripetuto; non si può se non rifare con una ispirazione nuova, la quale è sempre diversa». Appare dunque che Filippo non fa parte della Controriforma, ma è fiorito nonostante la Controriforma, se pure non dovrà dirsi contro di essa.
     
      [Il Cinquecento] Bisognerà leggere il volume di Fortunato Rizzi, L’anima del Cinquecento e la lirica volgare, che, dalle recensioni lette, mi pare piú importante come documento della cultura del tempo che per il suo valore intrinseco. (Sul Rizzi ho scritto in altro quaderno una noterella, considerandolo come «italiano meschino» a proposito di una sua recensione del libro di un nazionalista francese sul Romanticismo, recensione che dimostrava la sua assoluta inettitudine a orientarsi fra le idee generali e i fatti di cultura). Sul libro del Rizzi occorrerà rileggere l’articolo di Alfredo Galletti, La lirica volgare del Cinquecento e l’anima del Rinascimento, nella «Nuova Antologia» del 1° agosto 1929. (Anche sul Galletti occorrerà allargare le proprie informazioni: il Galletti dopo la guerra - per la quale ha lottato strenuamente col Salvemini e col Bissolati, date le sue origini riformistiche, aggiungendo un particolare spirito antigermanico - nel primo, ma specialmente nel secondo dopoguerra, è caduto in uno stato d’animo di esasperazione culturale, di piagnonismo intellettuale, proprio di chi ha avuto «gli ideali infranti»; i suoi scritti sono riboccanti di recriminazioni, di digrignar di denti in sordina, di allusioni critiche sterili nella loro disperazione comica). Nella critica della poesia cinquecentesca italiana prevale questa opinione: che essa sia per quattro quinti artificiosa, convenzionale, priva di intima sincerità. «Ora - osserva il Rizzi con molto buon senso - è sentenza comune che nella poesia lirica si trovi l’espressione piú schietta e viva del sentimento di un uomo, di un popolo, di un periodo storico.


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Il Risorgimento
di Antonio Gramsci
pagine 341

   





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