[La Riforma in Italia] Cfr. A. Oriani, La lotta politica (p. 128, edizione milanese): «La varietà dell’ingegno italiano, che nella scienza poteva andare dal sublime buon senso di Galileo alle abbaglianti e bizzarre intuizioni di Cardano, si colora nullameno alla Riforma, e vi si scorgono tosto Marco Antonio Flaminio, poeta latino, Jacopo Nardi, storico, Renata d’Este, moglie del duca Ercole II; Lelio Socini, ingegno superiore a Lutero e a Calvino, che la porta ben piú alto fondando la setta degli unitari; Bernardo Ochino e Pietro Martire Vermigli, teologo, che passeranno, questi all’Università di Oxford, quegli nel capitolo di Canterbury; Francesco Burlamacchi che ritenterà l’impossibile impresa di Stefano Porcari e vi perirà martire eroe; Pietro Carnesecchi e Antonio Palcario, che vi perderanno entrambi nobilmente la vita. Ma questo moto incomunicato al popolo è piuttosto una crisi del pensiero filosofico e scientifico, naturalmente ritmata sulla grande rivoluzione germanica, che un processo di purificazione e di elevazione religiosa. Infatti Giordano Bruno e Tommaso Campanella, riassumendolo, per quanto vissuti e morti entro l’orbita di un ordine monastico, sono due filosofi trascinati dalla speculazione oltre i confini non solo della Riforma ma del Cristianesimo stesso. Quindi il popolo rimane cosí insensibile alla loro tragedia che sembra quasi ignorarla».
Ma cosa significa tutto ciò? Forse che anche la Riforma non è una crisi del pensiero filosofico e scientifico, cioè dell’atteggiamento verso il mondo, della concezione del mondo?
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