Nel linguaggio politico i due aspetti del giacobinismo furono scissi e si chiamò «giacobino» l’uomo politico energico, risoluto e fanatico, perché fanaticamente persuaso delle virtú taumaturgiche delle sue idee, qualunque esse fossero: in questa definizione prevalsero gli elementi distruttivi derivati dall’odio contro gli avversari e i nemici, piú che quelli costruttivi, derivati dall’aver fatto proprie le rivendicazioni delle masse popolari, l’elemento settario, di conventicola, di piccolo gruppo, di sfrenato individualismo, piú che l’elemento politico nazionale. Cosí, quando si legge che Crispi fu un giacobino, è in questo significato deteriore che occorre intendere l’affermazione. Per il suo programma Crispi fu un moderato puro e semplice. La sua «ossessione» giacobina piú nobile fu l’unità politico-territoriale del paese. Questo principio fu sempre la sua bussola d’orientamento, non solo nel periodo del Risorgimento, in senso stretto, ma anche nel periodo successivo, della sua partecipazione al governo. Uomo fortemente passionale, egli odia i moderati come persone: vede nei moderati gli uomini dell’ultima ora, gli eroi della sesta giornata, gente che avrebbe fatto la pace coi vecchi regimi se essi fossero divenuti costituzionali, gente, come i moderati toscani, che si erano aggrappati alla giacca del granduca per non farlo scappare; egli si fidava poco di una unità fatta da non-unitari. Perciò si lega alla monarchia, che egli capisce sarà risolutamente unitaria per ragioni dinastiche, e abbraccia il principio dell’egemonia piemontese con una energia e una foga che non avevano gli stessi politici piemontesi.
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