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      È notevole, a questo proposito, il fatto di Cavour che teme come il fuoco l’iniziativa garibaldina prima della spedizione di Quarto e del passaggio dello Stretto, per le complicazioni internazionali che poteva creare e poi è spinto egli stesso dall’entusiasmo creato dai Mille nell’opinione europea fino a vedere come fattibile una immediata nuova guerra contro l’Austria. Esisteva in Cavour una certa deformazione professionale del diplomatico, che lo portava a vedere «troppe» difficoltà e lo induceva a esagerazioni «cospirative» e a prodigi, che sono in buona parte funamboleschi, di sottigliezza e di intrigo. In ogni caso il Cavour operò egregiamente come uomo di partito: che poi il suo partito rappresentasse i piú profondi e duraturi interessi nazionali, anche solo nel senso della piú vasta estensione da dare alla comunità di esigenze della borghesia con la massa popolare, è un’altra quistione.
      A proposito della parola d’ordine «giacobina» formulata nel ’48-49 [rivoluzione permanente] è da studiarne la complicata fortuna. Ripresa, sistematizzata, elaborata, intellettualizzata dal gruppo Parvus-Bronstein [Helphand-Trotzkij] si manifestò inerte e inefficace nel 1905, e in seguito: era diventata una cosa astratta, da gabinetto scientifico. La corrente [leninista] che la avversò in questa sua manifestazione letteraria, invece senza impiegarla «di proposito», la applicò di fatto in una forma aderente alla storia attuale, concreta, vivente, adatta al tempo e al luogo, come scaturiente da tutti i pori della determinata società che occorreva trasformare, come alleanza di due gruppi sociali [proletariato e contadini] con l’egemonia del gruppo urbano.


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Il Risorgimento
di Antonio Gramsci
pagine 341

   





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