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      Le soluzioni che del problema furono presentate astrattamente erano parecchie, tutte contraddittorie e inefficienti. «L’Italia farà da sé» fu la parola d’ordine piemontese del ’48, ma volle dire la sconfitta disastrosa. La politica incerta, ambigua, timida e nello stesso tempo avventata dei partiti di destra piemontesi fu la cagione principale della sconfitta: essi furono di una astuzia meschina, essi furono la causa del ritirarsi degli eserciti degli altri Stati italiani, napoletani e romani, per aver troppo presto mostrato di volere l’espansione piemontese e non una confederazione italiana; essi non favorirono, ma osteggiarono, il movimento dei volontari; essi, insomma, volevano che solo armati vittoriosi fossero i generali piemontesi, inetti al comando di una guerra tanto difficile. L’assenza di una politica popolare fu disastrosa: i contadini lombardi e veneti arruolati dall’Austria furono uno degli strumenti piú efficaci per soffocare la rivoluzione di Vienna e quindi anche italiana; per i contadini il moto del Lombardo-Veneto era una cosa di signori e di studenti come il moto viennese. Mentre i partiti nazionali italiani avrebbero dovuto, con la loro politica, determinare o aiutare il disgregamento dell’Impero austriaco, con la loro inerzia ottennero che i reggimenti italiani fossero uno dei migliori puntelli della reazione austriaca. Nella lotta tra il Piemonte e l’Austria il fine strategico non poteva essere quello di distruggere l’esercito austriaco e occupare il territorio del nemico, che sarebbe stato fine irraggiungibile e utopistico, ma poteva essere quello di disgregare la compagine interna austriaca e aiutare i liberali ad andare al potere stabilmente per mutare la struttura politica dell’impero in federalistica o almeno per crearvi uno stato prolungato di lotte interne che desse respiro alle forze nazionali italiane e permettesse loro di concentrarsi politicamente e militarmente (lo stesso errore fu commesso da Sonnino nella guerra mondiale e ciò contro le insistenze del Cadorna: Sonnino non voleva la distruzione dell’impero absburgico e si rifiutò a ogni politica di nazionalità; anche dopo Caporetto, una politica nazionalitaria fu fatta obtorto collo e malthusianamente e perciò non dette i piú rapidi risultati che avrebbe potuto dare). Dopo aver iniziato la guerra col motto «l’Italia farà da sé», dopo la sconfitta, quando tutta l’impresa era compromessa, si cercò di avere l’aiuto francese, proprio quando, anche per effetto del rinvigorimento austriaco, al governo in Francia erano andati i reazionari, nemici di uno Stato italiano unitario e forte e anche di una espansione piemontese: la Francia non volle dare al Piemonte neanche un generale provetto e si ricorse al polacco Chrza


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Il Risorgimento
di Antonio Gramsci
pagine 341

   





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