Un partito come quello dei moderati offriva alla massa degli intellettuali tutte le soddisfazioni per le esigenze generali che possono essere offerte da un governo (da un partito al governo), attraverso i servizi statali. (Per questa funzione di partito italiano di governo, serví ottimamente dopo il ’48-49 lo Stato piemontese, che accolse gli intellettuali esuli e mostrò in modello ciò che avrebbe fatto un futuro Stato unificato).
[La funzione del Piemonte, I.] La funzione del Piemonte nel Risorgimento italiano è quella di una «classe dirigente». In realtà non si tratta del fatto che in tutto il territorio della penisola esistessero nuclei di classe dirigente omogenea la cui irresistibile tendenza a unificarsi abbia determinato la formazione del nuovo Stato nazionale italiano. Questi nuclei esistevano, indubbiamente, ma la loro tendenza a unirsi era molto problematica, e ciò che piú conta, essi, ognuno nel suo ambito, non erano «dirigenti». Il dirigente presuppone il «diretto», e chi era diretto da questi nuclei? Questi nuclei non volevano «dirigere» nessuno, cioè non volevano accordare i loro interessi e aspirazioni con gli interessi ed aspirazioni di altri gruppi. Volevano «dominare» non «dirigere» e ancora: volevano che dominassero i loro interessi, non le loro persone, cioè volevano che una forza nuova, indipendente da ogni compromesso e condizione, divenisse l’arbitra della Nazione: questa forza fu il Piemonte e quindi la funzione della monarchia. Il Piemonte ebbe pertanto una funzione che può, per certi aspetti, essere paragonata a quella del partito, cioè del personale dirigente di un gruppo sociale (e si parlò sempre infatti di «partito piemontese»); con la determinazione che si trattava di uno Stato, con un esercito, una diplomazia ecc.
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