Per l’Italia niente di simile: essa non aveva nessuna autonomia internazionale. In tali speciali condizioni si capisce che la diplomazia fosse concretamente superiore alla politica creativa, fosse la «sola politica creativa». Il problema non era di suscitare una nazione che avesse il primato in Europa e nel mondo, o uno Stato unitario che strappasse alla Francia l’iniziativa civile, ma di rappezzare uno Stato unitario purchessia. I grandi programmi di Gioberti e di Mazzini dovevano cedere al realismo politico e all’empirismo di Cavour. Questa assenza di «autonomia internazionale» è la ragione che spiega molta storia italiana e non solo delle classi borghesi. Si spiega anche cosí il perché di molte vittorie diplomatiche italiane, nonostante la debolezza relativa politica-militare: non è la diplomazia italiana che vince come tale, ma si tratta di abilità nel saper trarre partito dall’equilibrio delle forze internazionali: è un’abilità subalterna, tuttavia fruttuosa. Non si è forti per sé, ma nessun sistema internazionale sarebbe il piú forte senza l’Italia.
A proposito del giacobinismo di Crispi è anche interessante il capitolo Guerra di successione dello stesso libro del Martini (pp. 209-24, specialmente p. 224). Dopo la morte di Depretis i settentrionali non volevano la successione di Crispi siciliano. Già Presidente del Consiglio, Crispi si sfoga col Martini, proclama il suo unitarismo, ecc., afferma che non esistono piú regionalismi, ecc. Sembra questa una dote positiva di Crispi: mi pare invece giusto il giudizio contrario.
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