La «legge agraria» da punto programmatico concreto e attuale, ben circoscritto nello spazio e nel tempo, è divenuta una vaga ideologia, un principio di filosofia della storia. Da notare che nei giacobini francesi la politica contadina non fu che un’intuizione politica immediata (arma di lotta contro l’aristocrazia terriera e contro il federalismo girondino) e che essi si opposero a ogni «esagerazione» utopistica degli «agraristi» astratti. L’impostazione della «riforma agraria» nel Ferrari, spiega il fatto della relativa popolarità che il Ferrari ebbe e continua ad avere fra i libertari: molti punti di contatto tra il Ferrari e il Bakunin e in generale i narodniki russi; i nullatenenti della campagna sono mitizzati per la «pandistruzione». Nel Ferrari, a differenza del Bakunin, è però ancor viva la coscienza che si tratta di una riforma liberalesca. Bisognerebbe confrontare le idee del Ferrari sulla riforma agraria come punto d’innesto delle masse agricole nella rivoluzione nazionale, con le idee di Carlo Pisacane. Il Pisacane si avvicina piú al Machiavelli; concetto piú limitato e concretamente politico. (Il Ferrari contro il principio d’eredità nel possesso terriero, contro residui di feudalismo, ma non contro l’eredità nella forma capitalistica: cfr. con le idee di Eugenio Rignano).
Campagna e città. Pare che da questo punto di vista sia interessante il saggio di Carlo Cattaneo, La città considerata come principio ideale delle istorie italiane, pubblicato da B. A. Belloni presso l’edit.
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