Solo recentemente i gesuiti hanno preso a sostenere la tesi dell’italianismo dei sanfedisti che solo «volevano unificare l’Italia a modo loro».
Un’altra osservazione notevole è accennata nella recensione del Momigliano: che cioè nel tormento e negli squilibri di Leone Ebreo ci fosse una complicata insoddisfazione della cultura ebraica come di quella profana, insoddisfazione che «è tra i piú importanti indizi che il Seicento ci offre della trasformazione che stava avvenendo nelle coscienze ebraiche».
In Italia non esiste antisemitismo proprio per le ragioni accennate dal Momigliano, che la coscienza nazionale si costituí e doveva costituirsi dal superamento di due forme culturali: il particolarismo municipale e il cosmopolitismo cattolico, che erano in stretta connessione fra loro e costituivano la forma italiana piú caratteristica di residuo medioevale e feudale. Che il superamento del cosmopolitismo cattolico e in realtà quindi la nascita di uno spirito laico, non solo distinto ma in lotta col cattolicismo, dovesse negli Ebrei avere come manifestazione una loro nazionalizzazione, un loro disebreizzarsi, pare chiaro e pacifico. Ecco perché può essere giusto ciò che scrive il Momigliano, che la formazione della coscienza nazionale italiana negli Ebrei vale a caratterizzare l’intero processo di formazione della coscienza nazionale italiana, sia come dissoluzione del cosmopolitismo religioso che del particolarismo, perché negli Ebrei il cosmopolitismo religioso diventa particolarismo nella cerchia degli Stati nazionali.
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