Fonti indirette. Le «Utopie» e i cosí detti «romanzi filosofici». Sono stati studiati per la storia dello sviluppo della critica politica, ma un aspetto dei piú interessanti da vedere è il loro riflettere inconsapevolmente le aspirazioni piú elementari e profonde dei gruppi sociali subalterni, anche dei piú bassi, sia pure attraverso il cervello di intellettuali dominati da altre preoccupazioni. Questo genere di pubblicazioni è sterminato, se si tien conto anche dei libri che hanno nessuna importanza letteraria e artistica, cioè se si parte dal punto di vista che si tratta di un fenomeno sociale. Si pone perciò il primo problema: la pubblicazione in massa (relativa) di tale letteratura, coincide con determinati periodi storici, con i sintomi di profondi rivolgimenti politico-sociali? Si può dire che essa è come un insieme di cahiers de doléance indeterminati e generici, e di un tipo particolare? Intanto è anche da osservare che una parte di questa letteratura esprime gli interessi dei gruppi dominanti o spodestati e ha carattere retrivo e forcaiolo. Sarebbe interessante compilare un elenco di questi libri, «utopie» propriamente dette, romanzi cosí detti filosofici, libri che attribuiscono a paesi lontani e poco conosciuti ma esistenti, determinate usanze e istituzioni che si vogliono contrapporre a quelle del proprio paese. L’Utopia di T. Moro, la Nuova Atlantide di Bacone, l’Isola dei piaceri e la Salento di Fénelon (ma anche il Telemaco), i Viaggi di Gulliver dello Swift, ecc.
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