Si voleva, con l'utopia, prospettare un assetto nel futuro che fosse ben coordinato, ben lisciato, e togliesse l'impressione del salto nel buio. Ma le costruzioni sociali utopistiche sono crollate tutte, perché essendo appunto cosí lisciate e assettatuzze, bastava dimostrarne infondato un particolare, per farle crollare nella loro totalità. Non avevano base queste costruzioni, perché troppo analitiche, perché fondate su un'infinità di fatti, e non su un unico principio morale. Ora i fatti concreti dipendono da tante cause, che finiscono per non aver piú causa, e per essere imprevedibili. E l'uomo ha bisogno, per operare, di poter almeno in parte prevedere. Non si concepisce volontà che non sia concreta, che cioè non abbia uno scopo. Non si concepisce volontà collettiva che non abbia uno scopo universale concreto. Ma questo non può essere un fatto, singolo, o una serie di fatti singoli. Può essere solo un'idea, o un principio morale. Il difetto organico delle utopie è tutto qui. Credere che la previsione possa essere previsione di fatti, mentre essa può solo esserlo di princípi, o di massime giuridiche. Le massime giuridiche (il diritto, il giure è la morale attuata) sono creazione degli uomini come volontà. Se volete dare a queste volontà una certa direzione, ponete loro come scopo ciò che solo può esserlo: altrimenti, dopo un primo entusiasmo, le vedrete abbiosciarsi e dileguare.
Gli ordini attuali sono stati suscitati per la volontà di attuare totalmente un principio giuridico.
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