I rivoluzionari dell'89 non prevedevano l'ordine capitalistico. Volevano attuare i diritti dell'uomo, volevano che fossero riconosciuti ai componenti la collettività determinati diritti. Questi, dopo la lacerazione iniziale del vecchio guscio, andarono affermandosi, andarono concretandosi e, divenuti forze operose sui fatti, li plasmarono, li caratterizzarono e ne sbocciò là civiltà borghese, l'unica che potesse sbocciarne, perché la borghesia era l'unica energia sociale fattiva e realmente operante nella storia. Gli utopisti furono sconfitti anche allora, perché nessuna delle loro particolari previsioni si realizzò. Ma si realizzò il principio, e da questo fiorirono gli ordinamenti attuali, l'ordine attuale.
Era un principio universale quello affermatosi nella storia attraverso la rivoluzione borghese? Certamente sí. Eppure si è soliti dire che se J. J. Rousseau potesse vedere quale foce hanno avuto le sue predicazioni, probabilmente le rinnegherebbe. In questa affermazione paradossale è contenuta una critica implicita del liberalismo. Ma essa è paradossale, cioè afferma in modo ingiusto una cosa giusta. Universale non vuol dire assoluto. Nella storia niente vi è di assoluto e di rigido. Le affermazioni del liberalismo sono delle idee-limiti che, riconosciute razionalmente necessarie, sono diventate idee-forze, si sono realizzate nello Stato borghese, hanno servito a suscitare a questo Stato un'antitesi nel proletariato, e si sono logorate. Universali per la borghesia, non lo sono abbastanza per il proletariato.
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