La «sottile analogia strategica tra la guerra e la lotta di classe» l'ha indotto a dare corpo a quei vani fantasmi metaforici che sono l'«esercito proletario» coi suoi battaglioni, con le sue fortezze, coi suoi campi trincerati. Ha immaginato tutta una gerarchia di ufficiali, sottufficiali, caporali e soldati del partito, delle organizzazioni, delle officine. Li ha visti muoversi, ben inquadrati nei ranghi all'assalto del nemico, «nell'illusione che la vittoria è una meta attiva, la quale, per non essere vincolata a circostanze reali, obiettive, si raggiunge con qualsiasi mezzo e basta agire perché nell'azione ogni sforzo sia valido, ogni volizione sia sacra al trionfo».
La verità è che la «sottile analogia» dell'on. Treves, per essere tanto sottile, finisce coll'essere assenza assoluta di intelligenza.
Il proletariato non è un esercito, non ha ufficiali, sottufficiali, caporali e soldati. La sua vita collettiva non può essere neppure lontanamente paragonata alla vita collettiva di un esercito in armi, se non per incidenze, per metafore. Il proletariato ha una vita collettiva che non può entrare in nessuno schema astratto. È un organismo in continua trasformazione che ha una volontà, ma questa non è la volontà libresca contro cui l'on. Treves tira freccioline di carta stampata. I socialisti non sono gli ufficiali dell'esercito proletario, sono una parte del proletariato stesso, ne sono la coscienza forse, ma come la coscienza non può esser scissa da un individuo, cosí i socialisti non possono essere posti in dualismo col proletariato.
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