Avevamo meccanizzato la vita, avevamo meccanizzato noi stessi. Ci accontentavamo di poco: la conquista di una piccola verità ci riempiva di tanta gioia come se avessimo conquistato tutta la verità. Rifuggivamo dagli sforzi, ci sembrava inutile porre delle ipotesi lontane e risolverle, sia pure provvisoriamente. Eravamo dei mistici inconsapevolmente. O davamo troppa importanza alla realtà del momento, ai fatti, o non ne davamo loro alcuna. O eravamo astratti perché di un fatto, della realtà facevamo tutta la nostra vita, ipnotizzandoci, o lo eravamo perché mancavamo completamente di senso storico, e non vedevamo che l'avvenire sprofonda le sue radici nel presente e nel passato, e gli uomini, i giudizi degli uomini possono fare dei salti, devono fare dei salti, ma non la materia, la realtà economica e morale.
Tanto piú grande è il dovere attuale di porre un ordine in noi. Il mondo si è avvicinato a noi, meccanicamente, per impulsi e forze che erano a noi estranee. Inconsapevolmente molti vedono in noi la salvezza. Eravamo gli unici che preparavamo un avvenire diverso, migliore del presente. Tutti i disillusi, ma specialmente tutta l'enorme moltitudine che tre anni di guerra hanno portato alla luce della storia, hanno obbligato a interessarsi della vita collettiva, aspettano da noi la salvezza, l'ordine nuovo. Una crisi spirituale enorme è stata suscitata. Bisogni inauditi sono sorti in chi fino a ieri non aveva sentito altro bisogno che quello di vivere e di nutrirsi. E ciò proprio nel momento storico — come del resto necessariamente doveva avvenire — in cui è avvenuta la maggiore distruzione di beni che la storia registri, di quei beni che soli possono appagare la maggior parte di quei bisogni.
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