La dottrina di Marx divenne cosí la dottrina dell'inerzia del proletariato. Non che il volontarismo (usiamo pure questa parola, che significa poco, per necessità pratiche del linguaggio) venisse rinnegato di fatto. Esso fu ridotto alla piccola schermaglia riformista: divenne una cosa volgare, divenne la volontà del compromesso ministeriale, la volontà di piccole conquiste, dell'uovo oggi meglio che la gallina domani, anche se, come dice il Ruta, l'uovo è un uovo di pidocchio.
L'opera di proselitismo fu abbandonata (cosa possono contare gli «uomini individuali»?). L'azione storica del proletariato non poté, con tutta la sua efficacia, inserirsi nel processo di sviluppo dell'economia capitalistica. Anche dal punto di vista riformistico, la Critica critica operò deleteriamente. Per la solita concezione dell'«uovo di pidocchio» furono trascurati i grandi problemi nazionali, che interessano tutto il proletariato italiano. Non bisogna dimenticare che nel 1913, quando il Partito socialista si presentò alle elezioni a suffragio universale con programma nettamente liberista, la Critica critica pubblicò due articoli protezionistici scritti da Treves e da Turati.
Se non esistessero le annate dell'Unità di Gaetano Salvemini, Treves potrebbe forse parlare di «incultura della nuova generazione socialista». Ma Salvemini e Mondolfo hanno troppo spesso documentato (e citiamo uomini della stessa tendenza del Treves) di che cosa fosse materiata la cultura della Critica critica, perché anche i giovanissimi possano troppo preoccuparsi del rimprovero di Very Well.
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