Diamantino fu generato cosí, tra la fuliggine, nel nerore dell'aspra fatica, e non vide mai, l'infelice, i fiorellini dei prati e non annitrí mai, nell'esuberanza dei succhi giovanili, ai zeffiretti profumati di primavera. E non volle neppur mai prestar fede alle bellissime descrizioni che la mamma sua gli andava, di volta in volta, facendo delle bellezze, della luminosità, dei freschi e grassi pascoli che allietano il genere equino sulla superficie sublunare del mondo. Diamantino, credette sempre di essere bellamente preso in giro dalla rispettabile sua genitrice, e morí fra la fuliggine e la polvere di carbone, convinto che le stelle, il sole, la luna fossero fantasmi nati nel cervello un po' tocco della stanca e affaticata trainatrice di vagoncini.
Ebbene, sí, noi siamo tanti Diamantini, ma non «noi uomini» per rispetto alla pace perpetua, come voleva nella sua conferenza il professor Mario Falchi; ma «noi italiani» per rispetto a una ben piú umile e modesta forma di convivenza civile: la libertà individuale, la sicurezza personale, che dovrebbe essere assicurata a tutti i cittadini dal regime individualista borghese.
Ci agitano dinnanzi agli occhi lo spettacolo pauroso dello sfacelo sociale in Russia, dei liberi cittadini russi in balía a tutte le aggressioni, non sicuri dei loro averi, vaganti nelle boscaglie, ricoperti i corpi scheletriti di cenciame, strappantisi vicendevolmente le radici per potersi sfamare. E vi contrappongono la nostra libertà, la nostra sicurezza.
Ma noi siamo come Diamantino.
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