Gli uni hanno arbitrariamente avulso dall'unità dell'attività sociale il termine economia, gli altri il termine politica. Gli uni si cristallizzano nell'organizzazione professionale, e per la stortura iniziale del loro pensiero fanno della cattiva politica e della pessima economia, gli altri si cristallizzano nell'esteriorità parlamentare, legiferatrice, e per la stessa ragione fanno della cattiva politica e della pessima economia. Da queste deviazioni nasce la fortuna e la necessità del socialismo rivoluzionario, che riconduce l'attività sociale alla sua unità, e si sforza di fare politica ed economia senza aggettivi, cioè aiuta lo svilupparsi e il prendere coscienza di sé delle energie proletarie e capitaliste spontanee, libere, necessarie storicamente, perché dal loro antagonismo si affermino sintesi provvisorie sempre piú compiute e perfette, che dovranno culminare nell'atto e nel fatto ultimo che tutte le contenga, senza residui di privilegi e di sfruttamenti. L'attività storica contrastante non sfocerà né in uno Stato professionale, come quello vagheggiato dai sindacalisti, né in uno Stato che abbia monopolizzato la produzione e la distribuzione, come è vagheggiato dai riformisti. Ma in un'organizzazione della libertà di tutti e per tutti, che non avrà nessun carattere stabile e definito, ma sarà una ricerca continua di forme nuove, di rapporti nuovi, che sempre si adeguino ai bisogni degli uomini e dei gruppi, perché tutte le iniziative siano rispettate, purché utili, tutte le libertà siano tutelate, purché non di privilegio.
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