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      Ogni gruppo vorrebbe uscire dalla dilacerante lotta della concorrenza imponendo il monopolio. Lo Stato compone giuridicamente i dissidi interni di classe, gli attriti d'interessi contrastanti, unifica i ceti e dà l'immagine plastica dell'intera classe. Il governo, il potere, è il punto in cui si afferma la concorrenza dei ceti. Il governo è il premio del partito, del ceto borghese piú forte, che per questa forza conquista il diritto di regolare il potere dello Stato, di rivolgerlo a determinati fini, di plasmarlo prevalentemente a seconda dei suoi programmi economici e politici.
      Assolutamente diversa è la posizione che occupano di fronte allo Stato i partiti borghesi e il Partito socialista.
      I partiti borghesi o sono esponenti di categorie di produttori, o sono sciame di mosche cocchiere che non intaccano neppure superficialmente la compagine dello Stato, ma ronzano parole e succhiano il miele dei favoritismi.
      Il Partito socialista non è organizzazione di ceto, ma di classe: è morfologicamente diverso da ogni altro partito. Può riconoscere solo nello Stato, complesso della classe borghese, il suo simile antagonistico. Non può entrare in concorrenza per la conquista dello Stato, né direttamente, né indirettamente, senza suicidarsi, senza snaturarsi, e diventare puro ceto politico, estraniato dalla attività storica del proletariato, e diventare sciame di mosche cocchiere in caccia della scodella di biancomangiare in cui rimanere invischiato e perire ingloriosamente.
      Il Partito socialista non conquista lo Stato, lo sostituisce; sostituisce il regime, abolisce il governo dei partiti, alla libera concorrenza sostituisce l'organizzazione della produzione e degli scambi.


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Scritti politici
Prima parte
di Antonio Gramsci
pagine 279

   





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