L'Italia ha uno Stato di classe?
Nelle discussioni e nelle polemiche troppo spesso le parole si sovrappongono alla realtà storica. Riferendoci all'Italia noi usiamo le parole: capitalisti, proletari, Stati, partiti, come se esse significassero entità sociali che hanno raggiunto la pienezza della loro maturità storica, o una maturità già notevole cosí come nei paesi economicamente progrediti. Ma in Italia il capitalismo è ai suoi primi inizi, e la legge esteriore non si adegua per nulla alla realtà. La legge è una incrostazione moderna su un edifizio antiquato, non è il prodotto di una evoluzione economica, è un prodotto del mimetismo politico internazionale, di una evoluzione intellettuale del giure, non dello strumento di lavoro.
Lo notava Giuseppe Prezzolini recentemente a proposito della polemica sulla «democrazia». Sotto una parvenza, puramente superficiale, di ordinamento democratico, lo Stato italiano ha conservato la sostanza e l'impalcatura di uno Stato dispotico (lo stesso dicasi della Francia).
Esiste un regime burocratico centralista, fondato sul sistema tirannico napoleonico, adatto ad opprimere e livellare ogni energia ed ogni movimento spontaneo.
La politica estera è arcisegreta; non solo non ne sono pubbliche le discussioni, ma nemmeno i patti sono conosciuti dagli interessati.
L'esercito era (fino alla guerra che ha fatto scoppiare necessariamente lo schema antiquato) di carriera, non la nazione armata.
C'è una religione di Stato, stipendiata, aiutata dallo Stato, e non la separazione laica e l'uguaglianza di tutti i culti.
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