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      Ammettiamo che l'articolo del Grido fosse il non plus ultra della difficoltà e della oscurità proletaria. Avremmo potuto scriverlo in altra maniera? Esso era di risposta a un articolo della Stampa, e nell'articolo della Stampa si faceva uso di un preciso linguaggio filosofico, che non era una superfluità né una posa, poiché ogni indirizzo di pensiero ha un suo particolare linguaggio e un suo particolare vocabolario. Nella risposta dovevamo rimanere nel dominio di pensiero dell'avversario, dimostrare che anche, anzi proprio per quell'indirizzo di pensiero (che è il nostro, che è l'indirizzo di pensiero del socialismo non acciabattone né fanciullescamente puerile), la tesi collaborazionistica era un errore. Per essere facili avremmo dovuto snaturare, impoverire un dibattito che versava su concetti di massima importanza, sulla sostanza piú intima e piú preziosa del nostro spirito. Far questo non è essere facili: significa frodare, tal quale il vinattiere che vende acqua tinta per barolo o lambrusco. Un concetto che sia difficile di per sé non può essere reso facile nell'espressione senza che si muti in una sguaiataggine. E d'altronde fingere che la sguaiataggine sia sempre quel concetto è da bassi demagoghi, da imbroglioni della logica e della propaganda.
      Perché dunque Camillo Prampolini fa della facile ironia sugli «interpreti» del proletariato che non si fanno comprendere dai proletari? Perché il Prampolini, con tutto il suo buon senso e la sua praticoneria, è un astrattista. Il proletariato è uno schema pratico, nella realtà esistono i proletari singoli, piú o meno colti, piú o meno preparati dalla lotta di classe alla comprensione dei piú squisiti concetti socialisti.


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Scritti politici
Prima parte
di Antonio Gramsci
pagine 279

   





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