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      Bisognerebbe per loro incominciare sempre dai primi princípi, dalla propaganda elementare. Ma, e gli altri? E i proletari già intellettualmente progrediti, già adusati al linguaggio della critica socialista? Chi bisogna sacrificare, a chi ci si deve rivolgere? Il proletariato è meno complicato di quanto può sembrare. Si è formata una gerarchia spirituale e culturale spontaneamente, e l'educazione scambievole opera là dove non può arrivare l'attività degli scrittori e dei propagandisti. Nei circoli, nei fasci, nelle conversazioni dinanzi all'officina si sminuzza, si propaga, resa duttile e plastica a tutti i cervelli, a tutte le culture, la parola della critica socialista. In un ambiente complesso e vario come è quello di una grande città industriale, si suscitano spontaneamente gli organi di trasmissione capillare delle opinioni che la volontà dei dirigenti non riuscirebbe mai a costituire e creare.
      E noi si dovrebbe rimanere sempre alle georgiche, al socialismo agreste e idillico? Si dovrebbe sempre, con monotona insistenza, ripetere l'abecedario, dato che c'è sempre qualcuno che l'abecedario non conosce?
      Ricordiamo appunto un vecchio professore di università, che da quarant'anni avrebbe dovuto svolgere un corso di filosofia teorica sull'«Essere evolutivo finale». Ogni anno incominciava una «scorsa» sui precursori del sistema, e parlava di Lao-tse, il vecchio-fanciullo, l'uomo nato a ottant'anni, della filosofia cinese. E ogni anno ricominciava a parlare di Lao-tse, perché nuovi studenti erano sopraggiunti, ed anche essi dovevano erudirsi su Lao-tse per bocca del professore.


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Scritti politici
Prima parte
di Antonio Gramsci
pagine 279

   





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