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      Il giacobinismo astrae da queste forme concrete della società umana che operano permanentemente sullo svolgersi degli eventi, e pone la storia come un contratto, come la rivelazione di una verità assoluta che si realizza perché un certo numero di cittadini di buona volontà si sono messi d'accordo, hanno giurato di portare a realtà il pensiero. Cosí concepita la storia è una lunga serie di disillusioni, di rimbrotti, di richiami, di «se». Se gli avvenimenti non si svolgono secondo lo schema prestabilito, si grida al tradimento, alla defezione, si suppone che perverse volontà ne abbiano attraversato il «naturale» decorso. E il giacobinismo trae dal suo spirito messianico, dalla sua fede nella verità rivelata, la pretesa politica di sopprimere violentemente ogni opposizione, ogni volontà che rifiuti di aderire al contratto sociale. E si cade nelle contraddizioni, cosí comuni nei regimi democratici, tra le professioni di fede inneggianti alla libertà piú sconfinata e la pratica di tirannia e di intolleranza brutale.
      Il giacobinismo politico, se può essere innocuo fintantoché rimane pura forma mentale, è dannoso allo sviluppo della storia e delle forme concrete che disciplinano la società, quando riesce a imporsi politicamente e a diventare il datore della cultura. Esso disabitua i cervelli dallo studio serio, dalla seria ricerca delle fonti permanentemente vive delle ingiustizie, dei mali, delle oppressioni, dissolve le associazioni sorte per operare secondo una nozione esatta della realtà e produrre quindi conseguenze utili, teglie il senso della responsabilità sociale, rende vana ogni critica, perché la critica rivolge la sua ricerca non al concreto ma ai fantasmi fluttuanti della contingenza piú svaporata.


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Scritti politici
Prima parte
di Antonio Gramsci
pagine 279