Un paese ad agricoltura estensiva isola gli individui, rende impossibile la consapevolezza uguale e diffusa, rende impossibili le unità sociali proletarie, la coscienza concreta di classe che dà la misura della propria forza e la volontà di instaurare un regime legittimato permanentemente da quella forza.
La guerra è la massima concentrazione dell'attività economica nelle mani di pochi (i dirigenti dello Stato); e le corrisponde la massima concentrazione di individui nelle caserme e nelle trincee. La Russia in guerra era davvero il paese di utopia: con uomini da invasione barbarica lo Stato ha creduto di poter fare una guerra di tecnica, di organizzazione, di resistenza spirituale, quale poteva dare solo un'umanità rinsaldata cerebralmente e fisicamente dall'officina e dalla macchina. La guerra era l'utopia, e la Russia zarista patriarcale si è sfasciata sotto l'altissima tensione dello sforzo impostosi e impostole dal nemico agguerrito. Ma le condizioni suscitate artificialmente, per l'immane potenza dello Stato dispotico, hanno prodotto le conseguenze necessarie: le grandi masse degli individui socialmente solitari, accostate, addensate in piccolo spazio geografico, hanno sviluppato sentimenti nuovi, hanno sviluppato una solidarietà umana inaudita. Quanto piú si sentivano deboli prima, nell'isolamento, e si piegavano al dispotismo, tanto piú grande fu la rivelazione della forza collettiva esistente, tanto piú prepotente e tenace il desiderio di conservarla, e di costruire su di essa la società nuova.
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