L'apoliticismo degli apolitici fu solo una degenerazione della politica: negare e combattere lo Stato è fatto politico tanto quanto inserirsi nella attività generale storica che si unifica nel Parlamento e nei comuni, istituzioni popolari dello Stato. Varia la qualità del fatto politico: i sindacalisti lavoravano fuori della realtà, e quindi la loro politica era fondamentalmente errata; i socialisti parlamentaristi lavoravano nell'intimo delle cose, potevano sbagliare (commisero anzi molti e pesanti sbagli), ma non errarono nel senso della loro azione e perciò trionfarono nella «concorrenza»; le grandi masse, quelle che con il loro intervento modificano obbiettivamente i rapporti sociali, si organizzarono intorno al Partito socialista. Nonostante tutti gli sbagli e le manchevolezze, il Partito riuscí, in ultima analisi, nella sua missione: far diventare qualcosa il proletario che prima era nulla, dargli una consapevolezza, dare al movimento di liberazione un senso diritto e vitale che corrispondeva, nelle linee generali, al processo di sviluppo storico della società umana.
Lo sbaglio piú grave del movimento socialista è stato di natura simile a quello dei sindacalisti. Partecipando all'attività generale della società umana nello Stato, i socialisti dimenticarono che la loro posizione doveva mantenersi essenzialmente di critica, di antitesi. Si lasciarono assorbire dalla realtà, non la dominarono.
I comunisti marxisti devono caratterizzarsi per una psicologia che possiamo chiamare «maieutica». La loro azione non è di abbandono al corso degli avvenimenti determinati dalle leggi della concorrenza borghese, ma di aspettazione critica.
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