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      La lotta di classe si confondeva col brigantaggio, col ricatto, con l’incendio dei boschi, con lo sgarrettamento del bestiame, col ratto dei bambini e delle donne, con l’assalto al municipio: era una forma di terrorismo elementare, senza conseguenze stabili ed efficaci. Obbiettivamente quindi la psicologia del contadino si riduceva a una piccolissima somma di sentimenti primordiali dipendenti dalle condizioni sociali create dallo Stato democratico-parlamentare: il contadino era lasciato completamente in balía dei proprietari e dei loro sicofanti e dei funzionari pubblici corrotti, e la preoccupazione maggiore della sua vita era quella di difendersi corporalmente dalle insidie della natura elementare, dai soprusi e dalla barbarie crudele dei proprietari e dei funzionari pubblici. Il contadino è vissuto sempre fuori dal dominio della legge, senza personalità giuridica, senza individualità morale: è rimasto un elemento anarchico, l’atomo indipendente di un tumulto caotico, infrenato solo dalla paura del carabiniere e del diavolo. Non comprendeva l’organizzazione, non comprendeva lo Stato, non comprendeva la disciplina; paziente e tenace nella fatica individuale di strappare alla natura scarsi e magri frutti, capace di sacrifici inauditi nella vita famigliare, era impaziente e violento selvaggiamente nella lotta di classe, incapace di porsi un fine generale d’azione e di perseguirlo con la perseveranza e la lotta sistematica.
      Quattro anni di trincea e di sfruttamento del sangue hanno radicalmente mutato la psicologia dei contadini.


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Scritti politici
Seconda parte
di Antonio Gramsci
pagine 334

   





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