Questo mutamento si è verificato specialmente in Russia ed è una delle condizioni essenziali della rivoluzione. Ciò che non aveva determinato l’industrialismo col suo normale processo di sviluppo, è stato prodotto dalla guerra. La guerra ha costretto le nazioni piú arretrate capitalisticamente, e quindi meno dotate di mezzi meccanici, ad arruolare tutti gli uomini disponibili, per opporre masse profonde di carne viva agli strumenti bellici degli Imperi centrali. Per la Russia la guerra ha significato la presa di contatto di individui prima sparsi in un vastissimo territorio, ha significato una concentrazione umana durata ininterrottamente per anni e anni nel sacrificio, col pericolo sempre immediato della morte, sotto una disciplina uguale e ugualmente feroce: gli effetti psicologici del perdurare di condizioni simili di vita collettiva per tanto tempo sono stati immensi e ricchi di conseguenze imprevedute.
Gli istinti individuali egoistici si sono smussati, un’anima comune unitaria si è modellata, i sentimenti si sono conguagliati, si è formato un abito di disciplina sociale: i contadini hanno concepito lo Stato nella sua complessa grandiosità, nella sua smisurata potenza, nella sua complicata costruzione. Hanno concepito il mondo, non piú come una cosa indefinitamente grande come l’universo e angustamente piccola come il campanile del villaggio, ma nella sua concretezza di Stati e di popoli, di forze e di debolezze sociali, di eserciti e di macchine, di ricchezze e di povertà. Legami di solidarietà si sono annodati che altrimenti solo decine e decine d’anni di esperienza storica e di lotte intermittenti avrebbero suscitati; in quattro anni, nel fango e nel sangue delle trincee, un mondo spirituale è sorto avido di affermarsi in forme e istituti sociali permanenti e dinamici.
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