Perché essi vedono nello Stato solo l’«immutabile» principio d’autorità. I socialisti distinguono nello Stato due aspetti. Lo Stato è per i socialisti l’apparato del potere politico, ma è anche un apparato di produzione e di scambio.
Come principio industriale di organizzazione della economia di un paese, lo Stato deve essere conservato e sviluppato: tutti gli strumenti di produzione e di scambio che il capitalismo lascerà al proletariato devono essere conservati e sviluppati per conservare e dare incremento al benessere comune. Se l’accentramento è domandato dalle necessità della produzione industriale, esso deve essere mantenuto e sviluppato, fino a diventare mondiale; sarebbe pazzesco e criminoso distruggere uno strumento di produzione, sull’esistenza del quale si fonda il benessere e spesso l’elementare possibilità di vita della popolazione attuale del mondo, solo perché cinquanta anni fa un uomo, e sia pur grande quanto Bakunin, ha affermato che accentramento significa «morte dell’autonomia e della libertà». I socialisti sono «statali» quindi, solo in quanto il processo di sviluppo della produzione industriale ha creato apparati economici che coincidono con l’apparato del potere politico e ne formano l’intima struttura.
Come principio di potere politico, lo Stato si dissolverà tanto piú rapidamente quanto piú i lavoratori saranno compatti e disciplinati nell’ordinarsi socialmente, nel fondersi cioè in gruppi accomunati dal lavoro, coordinati e sistemati tra loro secondo i momenti della produzione: dal nucleo elementare del mestiere in un reparto, al reparto in una fabbrica, alla fabbrica in una città, in una regione, nelle unità sempre piú vaste fino al mondo intero.
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