Gabriele D’Annunzio, servo smesso della massoneria anglo-francese, si ribella ai suoi vecchi burattinai, racimola una compagnia di ventura, occupa Fiume, se ne dichiara «padrone assoluto» e costituisce un governo provvisorio. Il gesto di D’Annunzio aveva inizialmente un mero valore letterario: D’Annunzio preparava e viveva gli argomenti di un futuro poema epico, di un futuro romanzo di psicologia sessuale e di una futura collezione di «Bollettini di guerra» del comandante Gabriele D’Annunzio.
Niente di straordinario e di mostruoso nell’avventura letteraria di Gabriele D’Annunzio: è possibile che in una classe, sana politicamente e spiritualmente perché coesa e organizzata economicamente, esistano dei singoli, pazzi politicamente perché dissestati, perché non inscritti in una realtà economica concreta.
Ma il colonnello D’Annunzio trova dei seguaci, ottiene che una parte della classe borghese assuma una forma imperniando la sua attività nel gesto di Fiume. Il governo di Fiume viene contrapposto al governo centrale, la disciplina armata al potere del governo di Fiume viene contrapposta alla disciplina legale del governo di Roma.
Il gesto letterario diventa un fenomeno sociale. Come in Russia i governi di Omsk, di Ekaterinodar, di Arcangelo ecc., in Italia il governo di Fiume viene assunto come la base di una riorganizzazione dello Stato, come l’energia sana, che rappresenta il «vero» popolo, la «vera» volontà, i «veri» interessi, la quale deve scacciare dalla capitale gli usurpatori.
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