D’Annunzio sta a Nitti come Kornilov a Kerenski. Il gesto letterario ha scatenato in Italia la guerra civile.
La guerra civile è stata scatenata proprio dalla classe borghese che tanto la depreca, a parole. Perché guerra civile significa appunto urto dei due poteri che si disputano a mano armata il governo dello Stato, urto che si verifica, non in campo aperto tra due eserciti ben distinti, schierati regolarmente, ma nel seno stesso della società, come scontro di gruppi raccogliticci, come molteplicità caotica di conflitti armati in cui non è possibile, alla grande massa di cittadini, orizzontarsi, in cui la sicurezza individuale e dei beni sparisce e le succede il terrore, il disordine, l’«anarchia». In Italia, come in tutti gli altri paesi, come in Russia, come in Baviera, come in Ungheria, è la classe borghese che ha scatenato la guerra civile, che immerge la nazione nel disordine, nel terrore, nell’«anarchia». La rivoluzione comunista, la dittatura del proletariato sono state, in Russia, in Baviera, in Ungheria e saranno in Italia, il tentativo supremo delle energie sane del paese per arrestare la dissoluzione, per ripristinare la disciplina e l’ordine, per impedire che la società si inabissi nella barbarie bestiale inerente alla fame determinata dalla cessazione del lavoro utile durante il periodo del terrorismo borghese.
Poiché ciò è successo, poiché il gesto letterario ha dato inizio alla guerra civile, poiché l’avventura dannunziana ha rivelato e dato forma politica a uno stato di coscienza diffuso e profondo, se ne conclude che la borghesia è morta come classe, che il cemento economico che la rendeva coesa è stato corroso e distrutto dai trionfanti antagonismi di casta, di gruppo, di ceto, di regione; se ne conclude che lo Stato parlamentare non riesce piú a dare forma concreta alla realtà obbiettiva della vita economica e sociale dell’Italia.
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