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      I proprietari di Sardegna, di Sicilia, di Valdaosta, del Friuli, ecc. dimostreranno che i popoli sardo, siciliano, valdostano, friulano ecc. non sono italiani, che già da tempo aspiravano all’indipendenza, che l’opera di italianizzazione forzata che il governo di Roma ha condotto, con l’insegnamento obbligatorio della lingua italiana, è fallita, e manderanno memoriali a Wilson, a Clemenceau, a Lloyd George... e non pagheranno le imposte.
      In tali condizioni è stata ridotta la nazione italiana dalla classe borghese, che in ogni sua attività tende solo ad accumulare profitto. L’Italia è psicologicamente nelle stesse condizioni di prima del ’59: ma non è piú la classe borghese che oggi ha interessi unitari in economia e in politica. Storicamente la classe borghese italiana è già morta, schiacciata da una passività di cento miliardi, disciolta dagli acidi corrosivi dei suoi interni dissidi, dei suoi inguaribili antagonismi. Oggi la classe «nazionale» è il proletariato, è la moltitudine degli operai e contadini, dei lavoratori italiani, che non possono permettere il disgregamento della nazione, perché la unità dello Stato è la forma dell’organismo di produzione e di scambio costruito dal lavoro italiano, è il patrimonio di ricchezza sociale che i proletari vogliono portare nell’Internazionale comunista. Solo lo Stato proletario, la dittatura proletaria, può oggi arrestare il processo di dissoluzione della unità nazionale, perché è l’unico potere reale che possa costringere i borghesi faziosi a non turbare l’ordine pubblico, imponendo loro di lavorare, se vogliono mangiare.


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Scritti politici
Seconda parte
di Antonio Gramsci
pagine 334

   





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