Noi sentiamo che Giorgio Sorel è veramente rimasto quello che l’aveva fatto Proudhon, cioè un amico disinteressato del proletariato. Perciò la sua parola non può lasciare indifferenti gli operai torinesi, quegli operai che hanno cosí ben compreso che le istituzioni proletarie debbono essere create «di lunga mano, se non si vuole che la prossima rivoluzione non sia altro che un colossale inganno».
Sindacati e Consigli(8)
L’organizzazione proletaria che si riassume, come espressione totale della massa operaia e contadina, negli uffici centrali della Confederazione del lavoro, attraversa una crisi costituzionale simile per natura alla crisi in cui vanamente si dibatte lo Stato democratico parlamentare. La crisi è crisi di potere e di sovranità. La soluzione dell’una sarà la soluzione dell’altra, poiché, risolvendo il problema della volontà di potenza nell’àmbito della loro organizzazione di classe, i lavoratori arriveranno a creare l’impalcatura organica del loro Stato e vittoriosamente lo contrapporranno allo Stato parlamentare.
Gli operai sentono che il complesso della «loro» organizzazione è diventato tale enorme apparato, che ha finito per ubbidire a leggi proprie, intime alla sua struttura e al suo complicato funzionamento, ma estranee alla massa che ha acquistato coscienza della sua missione storica di classe rivoluzionaria. Sentono che la loro volontà di potenza non riesce a esprimersi, in un senso netto e preciso, attraverso le attuali gerarchie istituzionali. Sentono che anche in casa loro, nella casa che hanno costruito tenacemente, con sforzi pazienti, cementandola col sangue e le lacrime, la macchina schiaccia l’uomo, il funzionarismo isterilisce lo spirito creatore e il dilettantismo banale e verbalistico tenta invano di nascondere l’assenza di concetti precisi sulle necessità della produzione industriale e la nessuna comprensione della psicologia delle masse proletarie.
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