Questa lotta si è svolta nell’unica forma in cui poteva svolgersi: disordinatamente, tumultuosamente, come una razzia condotta per le strade e per le piazze al fine di liberare le strade e le piazze da una invasione di locuste putride e voraci. Ma questa lotta, indirettamente sia pure, era connessa all’altra lotta, alla superiore lotta di classi tra proletari e capitalisti: la piccola e media borghesia è infatti la barriera di umanità corrotta, dissoluta, putrescente con cui il capitalismo difende il suo potere economico e politico, umanità servile, abietta, umanità di sicari e di lacchè, divenuta oggi la «serva padrona» che vuole prelevare sulla produzione taglie superiori non solo alla massa di salario percepita dalla classe lavoratrice, ma alle stesse taglie prelevate dai capitalisti; espellerla dal campo sociale, come si espelle una volata di locuste da un campo semidistrutto, col ferro e col fuoco, significa alleggerire l’apparato nazionale di produzione e di scambio da una plumbea bardatura che lo soffoca e gli impedisce di funzionare, significa purificare l’ambiente sociale e trovarsi contro l’avversario specifico: la classe dei capitalisti proprietari dei mezzi di produzione e di scambio.
La guerra ha messo in valore la piccola e media borghesia. Nella guerra e per la guerra, l’apparecchio capitalistico di governo economico e di governo politico si è militarizzato: la fabbrica è diventata una caserma, la città è diventata una caserma, la nazione è diventata una caserma.
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