questi signori, interroriti per l’imminente pericolo, hanno organizzato subito il pogrom contro i deputati socialisti. E dalle officine, dai cantieri, dai laboratori, dagli arsenali di tutte le città italiane, subito, come a una parola d’ordine, appunto come succedeva in Russia e in Polonia quando i Cento Neri tentavano scatenare pogroms contro gli ebrei, per annegare in una palude di barbarie e di dissolutezza ogni piccolo anelito di libertà - subito gli operai irruppero nelle vie centrali della città e spazzarono via le locuste piccolo-borghesi, gli organizzatori di pogroms, i professionisti della poltroneria.
È stato questo un episodio, in fondo, di «liberalismo». Si era formato un modo di guadagno senza lavoro, senza responsabilità, senza alee; oggi questo modo di guadagno ha anch’esso le sue alee, le sue preoccupazioni, i suoi pericoli.
Ipotesi...
E se fosse riuscita?... L’ipotesi non è astratta. Nelle grandi città settentrionali, nei giorni dello sciopero, non sono mancati i momenti nei quali anche uomini calmi e temperati avevano la sensazione che da un istante all’altro sarebbero potuti avvenire fatti decisivi, che un incidente qualunque sarebbe stato sufficiente a dare agli eventi tutt’altro corso, ad arrovesciare i termini del rapporto di forza tra autorità e popolo, a far sboccare la sommossa nella rivoluzione. È questo il miglior indice del fatto che viviamo in periodo rivoluzionario: si sente che qualcosa di diverso e di nuovo potrebbe anche avvenire, si aspetta, si interroga l’ignoto, si conta anche un poco sul caso [tre righe censurate].
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