Il Partito socialista è un modello di società «libertaria» disciplinata volontariamente, per un atto esplicito di coscienza; immaginare tutta la società umana come un colossale Partito socialista, con le sue domande di ammissione e le sue dimissioni, non può non solleticare il pregiudizio contrattualista di molti spiriti sovversivi, educatisi piú su G. G. Rousseau e sugli opuscoli anarchici, che sulle dottrine storiche ed economiche del marxismo. La Costituzione della Repubblica russa dei Soviet si fonda su princípi identici a quelli sui quali si fonda il Partito socialista; il governo della sovranità popolare russa funziona in forme suggestivamente identiche alle forme di governo del Partito socialista. Non è davvero strano che da questi motivi di analogie e di aspirazioni istintive sia nato il mito rivoluzionario, per il quale si concepisce l’instaurazione del potere proletario come una dittatura del sistema di sezioni del Partito socialista.
Questa concezione è per lo meno altrettanto utopistica di quella che riconosce nei sindacati e nelle Camere del lavoro le forme del processo di sviluppo rivoluzionario. La società comunista può esser solo concepita come una formazione «naturale» aderente allo strumento di produzione e di scambio; e la rivoluzione può essere concepita come l’atto di riconoscimento storico della «naturalezza» di questa formazione. Il processo rivoluzionario si identifica quindi solamente con uno spontaneo movimento delle masse lavoratrici, determinato dal cozzo delle contraddizioni inerenti alla convivenza umana in regime di proprietà capitalista.
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