Tra le condizioni mediate di primo grado che hanno determinato la sconfitta sono quindi da ritenersi lo stato generale della società italiana e le condizioni di esistenza di ogni regione e di ogni provincia che costituisce una cellula sindacale della Confederazione generale del lavoro. È certo insomma che la classe operaia torinese è stata sconfitta perché in Italia non esistono, non sono ancora maturate le condizioni necessarie e sufficienti per un organico e disciplinato movimento di insieme della classe operaia e contadina. Di questa immaturità, di questa insufficienza del popolo lavoratore italiano è indubbio documento la «superstizione» e la cortezza di mente dei capi responsabili del movimento organizzato del popolo lavoratore italiano.
Il 7 marzo si tiene a Milano un convegno nazionale degli industriali. Il comm. Silvestri, presidente della Confederazione generale dell’industria, pronunzia al convegno un discorso violentissimo contro le otto ore, contro gli aumenti di salario, contro il governo pusillanime che non ha difeso il capitale a Pont Canavese, a Torre Pellice, ad Asti (invasione dei cotonifici Mazzonis e della segheria di Asti), contro il governo pusillanime che non sa difendere il regime individualista borghese dagli assalti dei comunisti. L’onorevole Gino Olivetti, segretario confederale, riferisce al convegno sulla quistione dei Consigli di fabbrica e conclude proclamando che i Consigli operai torinesi devono essere schiacciati implacabilmente; la concezione capitalistica espressa dall’Olivetti viene applicata dagli industriali torinesi nell’offensiva contro i Consigli operai ed è riassunta nelle due massime che i manifesti dei capitalisti urlano vittoriosamente in tutte le vie della città, dopo la sconfitta proletaria: «Nelle ore di lavoro si lavora e non si discute.
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