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      Tutto questo movimento della classe capitalistica e del potere di Stato per asserragliare Torino, per cogliere la classe operaia torinese in una fossa da lupi, non fu neppure percepito dai capi responsabili della classe operaia italiana organizzata. La vasta offensiva capitalistica fu minuziosamente preparata senza che lo «stato maggiore» della classe operaia organizzata se ne accorgesse, se ne preoccupasse: e questa assenza delle centrali dell’organizzazione divenne una condizione della lotta, un’arma tremenda in mano agli industriali e al potere di Stato, una fonte di debolezza per i dirigenti locali della sezione metallurgica.
      Gli industriali condussero l’azione con estrema abilità. Gli industriali sono divisi tra loro per il profitto, sono divisi tra loro per la concorrenza economica e politica, ma di fronte alla classe operaia essi sono un blocco d’acciaio: non esiste il disfattismo nel loro seno, non esiste chi sabota l’azione generale, chi semina lo sconforto e il panico. Gli industriali, avviluppata la città in un perfetto sistema militare, trovarono un «naso di Cleopatra» che mutasse faccia alla storia: alle officine «Industrie metallurgiche», per una manomissione senza conseguenze dell’orologio, gli industriali domandarono l’ineleggibilità per un anno dei compagni della Commissione interna, domandarono cioè che sei compagni fossero per un anno privati dei diritti civili proletari. Il movimento si iniziò da questo punto e si aggravò a mano a mano che gli industriali spiegavano con accortezza e con metodo tutta la loro manovra; i delegati operai per le trattative erano dei giocattoli nelle mani degli industriali, e sapevano di esserlo, e gli industriali sapevano che gli operai sapevano.


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Scritti politici
Seconda parte
di Antonio Gramsci
pagine 334

   





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