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      Gli operai erano persuasi che le trattative erano vane, ma dovevano continuare a trattare, perché un arresto, uno scoraggiamento, un moto impulsivo avrebbe provocato il cozzo sanguinoso che era voluto dagli industriali, dalla polizia, dalla casta militare, dai circoli reazionari: i delegati operai conoscevano perfettamente le condizioni generali di armamento in cui gli eventi si svolgevano, e dovettero per giorni e giorni macerare il loro cervello e il loro cuore per attendere, per superare il giorno, per vedere dove sarebbe giunta l’offensiva avversaria, perché gli avversari dovessero giungere fino al punto in cui fosse impossibile non toccare princípi che costringessero gli organismi centrali a pronunziarsi e a scendere in campo. Cosí si giunse allo sciopero generale, al grandioso schieramento delle forze proletarie piemontesi, cosí si giunse fino al punto in cui, per le dimostrazioni di solidarietà attiva date dai ferrovieri, dai marinari, dagli scaricatori del porto, dimostrazioni che misero in rilievo l’intima debolezza dell’apparecchio statale borghese, si poté anche credere alla possibilità di una insurrezione generale del proletariato italiano contro il potere di Stato, insurrezione che si pensava già destinata a fallire nel suo fine ultimo, la composizione di un governo rivoluzionario, perché tutto lo svolgersi del movimento aveva dimostrato che in Italia non esistono le energie rivoluzionarie organizzate capaci di centralizzare un movimento vasto e profondo, capaci di dare sostanza politica a un irresistibile e potente sommovimento della classe oppressa, capaci di creare uno Stato e di imprimergli un dinamismo rivoluzionario.


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Scritti politici
Seconda parte
di Antonio Gramsci
pagine 334

   





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