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      Cinquecentomila operai e contadini sono trascinati nella lotta: contro di loro sono accampate l’intera classe capitalistica e le forze del potere di Stato. L’intervento energico delle centrali del movimento operaio organizzato potrebbe equilibrare le forze e, se non determinare una vittoria, mantenere e consolidare le conquiste fatte dagli operai con un lavoro paziente e tenace di organizzazione, con centinaia e migliaia di piccole azioni nelle officine e nei reparti. Da chi dipende questo intervento? Da un organismo eletto dagli operai, continuamente controllato, i cui membri possono essere revocabili a ogni istante? No, da impiegati giunti a quel posto per vie burocratiche, per amicizie; da impiegati di corta mente che non vedono neppure ciò che gli industriali e lo Stato preparano, che non conoscono la vita della fabbrica e i bisogni degli operai, e sono «superstiziosi» come un pastore protestante e vanitosi come l’usciere di un ministero.
      La classe operaia torinese ha già dimostrato di non essere uscita dalla lotta con la volontà spezzata, con la coscienza disfatta. Continuerà nella lotta: su due fronti. Lotta per la conquista del potere industriale; lotta per la conquista delle organizzazioni sindacali e per l’unità proletaria.
      Lo sciopero generale ha dimostrato quanto sia espansivo il movimento «letterario» sorto nel campo industriale torinese. Nell’Ordine Nuovo dell’11 ottobre 1919 il malessere che serpeggiava sordamente in mezzo alle masse organizzate era cosí tratteggiato:


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Scritti politici
Seconda parte
di Antonio Gramsci
pagine 334

   





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