Cosa fu l’Ordine Nuovo nei primi numeri? Fu un’antologia, nient’altro che un’antologia; fu una rassegna come sarebbe potuta sorgere a Napoli, a Caltanissetta, a Brindisi; fu una rassegna di cultura astratta, di informazione astratta, con la tendenza a pubblicare novelline orripilanti e xilografie bene intenzionate; ecco cosa fu l’Ordine Nuovo nei suoi primi numeri, un disorganismo, il prodotto di un mediocre intellettualismo, che zampelloni cercava un approdo ideale e una via per l’azione. Questo fu l’Ordine Nuovo quale fu varato in seguito alle riunioni che tenemmo nell’aprile 1919, riunioni debitamente verbalizzate, riunioni nelle quali il compagno Tasca respinse, come non conformista alle buone tradizioni della morigerata e pacifica famigliola socialista italiana, la proposta di consacrare le nostre energie a «scoprire» una tradizione soviettista nella classe operaia italiana, a scavare il filone del reale spirito rivoluzionario italiano; reale perché coincidente con uno spirito universale dell’Internazionale operaia, perché prodotto di una situazione storica reale, perché risultato di una elaborazione della classe operaia stessa.
Ordimmo, io e Togliatti, un colpo di Stato redazionale; il problema delle Commissioni interne fu impostato esplicitamente nel n. 7 della rassegna; qualche sera prima di scrivere l’articolo avevo sviluppato al compagno Terracini la linea dell’articolo e Terracini aveva espresso il suo pieno consenso come teoria e come pratica; l’articolo, per il consenso di Terracini, con la collaborazione di Togliatti, fu pubblicato e successe quanto era stato da noi previsto: fummo, io, Togliatti, Terracini, invitati a tenere conversazioni nei circoli educativi, nelle assemblee di fabbrica, fummo invitati dalle Commissioni interne a discutere in ristrette riunioni di fiduciari e collettori.
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