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      L’operaio comunista che per settimane, per mesi, per anni, disinteressatamente, dopo otto ore di lavoro in fabbrica, lavora altre otto ore per il Partito, per il sindacato, per la cooperativa, è, dal punto di vista della storia dell’uomo, piú grande dello schiavo e dell’artigiano che sfidava ogni pericolo per recarsi al convegno clandestino della preghiera. Allo stesso modo Rosa Luxemburg e Carlo Liebknecht son piú grandi dei piú grandi santi di Cristo. Appunto perché il fine della loro milizia è concreto, umano, limitato, perciò i lottatori della classe operaia sono piú grandi dei lottatori di Dio: le forze morali che sostengono la loro volontà sono tanto piú smisurate quanto piú è definito il fine proposto alla volontà. Quale forza di espansione potranno mai acquistare i sentimenti dell’operaio, che, piegato sulla macchina, ripete per otto ore al giorno il gesto professionale, monotono come lo sgranamento del chiuso circolo di una coroncina di preghiera, quando egli sarà «dominatore», quando sarà la misura dei valori sociali? Il fatto stesso che l’operaio riesca ancora a pensare, pur essendo ridotto a operare senza sapere il come e il perché della sua attività pratica, non è un miracolo? Questo miracolo dell’operaio che quotidianamente conquista la propria autonomia spirituale e la propria libertà di costruire nell’ordine delle idee, lottando contro la stanchezza, contro la noia, contro la monotonia del gesto che tende a meccanizzare e quindi a uccidere la vita interiore, questo miracolo si organizza nel Partito comunista, nella volontà di lotta e di creazione rivoluzionaria che si esprime nel Partito comunista.


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Scritti politici
Seconda parte
di Antonio Gramsci
pagine 334

   





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