In Russia non indagarono sull’energia creatrice della classe operaia nel campo economico e nel campo politico, non si curarono di approfondire la storia del popolo russo e di comprendere il «miracolo» della rivoluzione russa; si fermarono all’«energia sessuale», si preoccuparono e si spaventarono della constatazione che in Russia si va poco a donne. C’è da arrossire nell’essere costretti a scrivere cose di questo genere: questi signori, che si piccano di indipendenza nazionale, e vogliono ribellarsi alla «autorità dittatoria di Mosca», dànno un tale documento di bassezza intellettuale e di miseria spirituale, che invero un rivoluzionario italiano è portato ad augurarsi un piú diretto ed energico esercizio di questa autorità. Dove non è possibile aspettarsi niente di vitale e di intelligente dai capi indigeni ufficiali, non c’è altro che rifugiarsi nella speranza che i capi vengano dal di fuori, che sia riconosciuto illimitatamente e ci si affidi ciecamente all’autorità piú alta della classe operaia mondiale.
Sulla situazione economica della Russia D’Aragona, Bianchi e Colombino non dicono piú di quanto sia contenuto nel rapporto Rykov (pubblicato in Italia e noto a moltissimi operai) e di quanto scriva quotidianamente l’Ekonomiceskaia Gisn, organo del Consiglio supremo di economia popolare. Ciò che di piú essi dicono e ciò che circola in tutto il loro rapporto è la persuasione che la rivoluzione operaia russa sia stata un errore, sia stata addirittura un esperimento in corpore vili fatto da un pugno d’avventurieri incapaci e impreparati.
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