In questa levata di scudi, in questa furia demagogica nell’accusare il movimento torinese è da identificarsi quindi un tentativo della reazione che vuole colpire Torino non come nido di delinquenza, ma come sede di un preciso pensiero politico che minaccia di conquistare la maggioranza del Partito socialista italiano, che minaccia di trasformare il Partito, da organo di conservazione dell’agonia capitalistica, in organismo di lotta e di ricostruzione rivoluzionaria. Approfittando delle polemiche interne di Partito, si cerca evidentemente di riprodurre, in questo scorcio dell’anno, la stessa situazione dell’agosto 1917 o dell’aprile 1920: messa a terra Torino proletaria, distrutto il nido di vespe piemontesi, si spera che il Partito sia fiaccato e che l’avvento al potere dei riformisti sia possibile col consenso delle masse operaie affamate e abbrutite dal terrore bianco.
È certo che la reazione italiana si rafforza e cercherà di imporsi violentemente a breve scadenza. La reazione che è sempre esistita, che obbedisce a leggi proprie di sviluppo, che culminerà nel piú atroce terrorismo che abbia visto la storia. Non per caso gli occhi di tutti si rivolgono oggi a Fiume e alla Dalmazia, a D’Annunzio, a Millo, a Caviglia. La reazione è lo sviluppo del fallimento della guerra imperialista, è lo sviluppo delle disastrose condizioni economiche in cui il capitalismo ha ridotto il popolo italiano, è lo sviluppo delle illusioni nazionaliste e delle delusioni opportuniste di uno Stato che non riesce ad assicurare il pane, il tetto, il vestito alla popolazione.
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