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      È un delitto uccidere un rappresentante della classe operaia? No, perché gli assassini, i complici degli assassini, i mandanti, gli esaltatori degli assassini, noti, confessi, autoelogiatori, non sono stati puniti, non sono stati neppure molestati. Da due anni, dal giorno dell’armistizio, il popolo italiano vive in pieno terrorismo, in piena reazione; non esiste piú sicurezza personale per la classe operaia, non esiste piú nessuna garanzia civile di tranquillità e di pace. Nell’attuale periodo, il terrorismo vuol passare dal campo privato al campo pubblico; non si accontenta piú dell’impunità concessagli dallo Stato, vuole diventare lo Stato. Ecco cosa significa oggi la parola «avvento» della reazione: significa che la reazione è divenuta cosí forte, che non ritiene piú utile ai suoi fini la maschera di uno Stato legale; significa che vuole, per i suoi fini, servirsi di tutti i mezzi dello Stato; significa che l’Italia si avvicina a una nuova guerra imperialista, rivolta al saccheggio a mano armata di qualche ricco popolo finitimo.
      La reazione è immanente nelle condizioni economiche del paese. E la reazione non ha per fine di ristabilire l’ordine all’interno, ha per fine di preparare la guerra all’esterno. L’ordine all’interno non significa nulla nelle condizioni attuali: esso è un’utopia. Anche se il proletariato lavorasse sedici ore al giorno il governo borghese non potrebbe sanare il deficit del bilancio statale, non potrebbe riorganizzare la produzione nazionale. Il governo non è stato capace a impedire l’esodo dei capitali all’estero; il governo non può fare risuscitare i cinquecentomila morti della guerra, e non può farli lavorare; il governo non può ridare la validità fisica e l’efficienza produttiva ai cinquecentomila invalidi della guerra; non può ridare il sostegno economico alle centinaia di migliaia di famiglie che l’hanno perduto e devono vivere della carità, e sono costrette a consumare senza produrre, e sono ridotte al parassitismo obbligatorio.


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Scritti politici
Seconda parte
di Antonio Gramsci
pagine 334

   





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